“Il mostro”: un estratto | minima&moralia

2022-07-23 03:28:09 By : Ms. Penny Huang

di minima&moralia pubblicato lunedì, 11 Luglio 2022 · Aggiungi un commento 

Pubblichiamo un estratto dal libro di Alessandro Ceccherini Il mostro, uscito per Nottetempo. L’autore sarà ospite della trasmissione Fahrenheit su Radio 3 questo pomeriggio alle 17:30.

Novembre, Scarperia e San Piero (Fi)

Pietro stira la schiena piegando il capo all’indietro e ingolla un altro bicchiere capovolgendoselo sulla bocca, il liquido gli gorgoglia giù nell’esofago e il gomito punta in alto, verso gli otto bracci verdi e rossi del ventilatore appeso al soffitto. Sbatte il bicchiere vuoto sul tavolo e si alza in piedi spingendo indietro la sedia in legno e vimini che stride bruscamente e per poco non si ribalta puntellandosi nella sbeccatura di una mattonella. Intorno a lui, nell’angusta sala della bettola, ci sono una famiglia con un bambino, due coppie di ragazzi giovani e due pescatori che si sono fatti cucinare quello che hanno pescato. Tutti tacciono e guardano la faccia paonazza di Pietro che bene o male ha scambiato due parole con ognuno di loro blaterando dei propri affari per poi continuare ad aggiornarli indirettamente attraverso un tono di voce mai timido.

“Scusatemi tanto se mi prendo i’ permesso, ma vorrei fa’ un brindisi co’ tutti voialtri, e le cose che si dicevan’ qui co’ i’ mi’ amiho Mario le vorrei di’ a tutti, le vorrei condividere, perché ogni tanto c’è de’ momenti che ti vien voglia di parlare e allora secondo me uno deve parlare, che poi l’è quello che gl’è la poesia, quello che fanno i lorsignori poeti,” sostiene ancheggiando in modo parodisticamente effeminato e fingendo di scrivere con una penna nel vuoto.

Sorridono quasi tutti. Pietro si abbassa a prendere il fiasco e riempie di nuovo il bicchiere. “E voleo parlare di’ questo vino schietto che si beve tutti noi qui, a parte i fringuellini,” specifica indicando il bambino di quattro o cinque anni, “e che a tutti noi ci garba parecchio, mi pare, ‘unne sbaglio miha!”

“No no,” assicura ridacchiando il ragazzo di una coppia, “’un tu ne sbagli, vai!”

“Dicci, ché i’ vino garba a tutti, va’ tranquillo!” lo esorta uno dei pescatori.

“E lo vedo vai, te poi tu trinchi come coso lì, quande gl’è tornato da i’ deserto. Te che dici, coso c’avea sete quande l’è tornato da i’ deserto?”

“Ma coso chi?” chiede un pescatore.

“Ma che roba l’è, i’ vino?” domanda Pietro ignorandolo, addirizzando solennemente la schiena e alzando il bicchiere davanti a sé. “Vien fatto co’ piedi, lo si pesticcia pe’ fanne venir fòri la sostanza di’ vino, la sostanza di-vina, la sostanza di Dio! E poi questa sostanza la si beve!” annuncia buttando giù d’un fiato quello che ha in mano.

“Bereee!” urla Mario Vanni attaccandosi al bicchiere, e mentre deglutisce fissa di sguercio i giovani al tavolo accanto facendogli cenno di buttare giù.

In risposta bevono più o meno tutti.

L’oste, una figura minuta, si affaccia dalla cucina richiamato dalle grida e si appoggia al muro scalcinato della soglia.

“Aah,” ansima Pietro prima di sbattere di nuovo il bicchiere sul tavolo come una dama decisiva sulla scacchiera, poi si avvicina alla coppia col bambino. “Da’ piedi che s’usan’ pe’ schiaccialla la sostanza arriva a i’ capo,” sostiene picchiettando la punta dell’indice sulla tempia destra. “E allora tutte le ‘ose le si mescolano e tutto diventa diverso, parecchio più bello a parer mio. E quindi pensavo che questo nettare gl’è i’ vero sangue della terra, e le viti le son le vene che stanno sopra la pelle invece che di sotto, e i’ sangue scorre alla luce di’ sole e ci s’offre a tutti noi che lo si beve. Ma di chi gl’è questo sangue? Di chi l’è i’ còre che pompa sottoterra?” Riempie ancora una volta il bicchiere dando fondo al fiasco che poi volta a capo sotto fissando l’oste.

“E di chi sarà mai!? Di Dio!” afferma l’altro pescatore dopo un attimo di silenzio.

Pietro si volta e lo guarda di traverso. “Ma che ti pare a te che Dio sta sotto terra? Te tu bestemmi se dici a codesta maniera!”

“I preti e dicano che gl’è dappertutto,” gli fa notare quello.

“I preti!” esclama Pietro dandosi una vigorosa scozzata alle palle e versando a terra un po’ del vino che ha nel bicchiere. “I preti farebban bene a vende’ l’oro che c’hanno a i’ Vatihano! E poi dimmi, se Dio l’è dappertutto, i’ Diavolo ‘ndó gl’è?”

“‘Ndó vò’ che sia!? all’inferno!”.

“E che ‘un è sottoterra l’inferno!?” esclama Pietro sentendosi vincitore. Poi guarda la platea intorno a lui e alza in alto il bicchiere. “Un brindisi a i’ diavolo che vive sotto questa terra! Di diavoli ce n’è dumila ma ‘un ci voglian tutti male, di certo no quello che sta qui sotto!” esclama sbattendo forte il piede a terra. “Ci senti!? E ti si ringrazia da quassù!”

Pietro s’immobilizza incrociando il suo sguardo.

“Calma,” si raccomanda quello timidamente.

Pietro piega un po’ in avanti la testa e sorride nel modo in cui sa di far paura, poi butta giù il vino dandosi uno slancio troppo forte che lo fa sbarellare all’indietro fino quasi a travolgere con una culata il bambino della coppia lì vicino, facendo agitare la madre che per lo spavento si lancia sul piccolo. “Abbi pazienza, bellissima,” si scusa Pietro, poi si volta verso il marito e gli assesta una rude pacca sulla spalla. “Certo che te tu devi anda’ a accendere un cero ‘n chiesa pe’ ave’ trovato una sposina ‘osì bellina, te ‘un tu se’ di certo a i’ confronto! Ma ce la fai a reggila?”

“E tu devi mangiare! E bevi poho, sennò poi tu t’addormenti e quarcuno ci mette l’occhi sopra. Guarda come l’è bellina, con codeste gotine lisce sembra una bambolina,” afferma fissando la giovane donna e allungando una mano per accarezzarle il viso.

“I’ vinooo!” urla Mario alzando al cielo il fiasco pieno che è andato a prendersi da solo, poi ci si attacca dandogli un sorso e se lo poggia sul petto inclinandolo e suonandolo come fosse un mandolino, schizzandosi il liquido sulla camicia, sui pantaloni e inondando il tavolo mentre ondeggia lentamente a destra e a sinistra. “Com’è bello i’ vino! Rosso, rosso, rotto! Bianco l’è i’ mattino, ma son finito dentro a un broto,” recita abbassandosi e riparandosi con le braccia come se il soffitto stesse per cascargli addosso, poi si ferma e guarda il ventilatore. “E ‘n mezzo all’acqua sudicia, mi godo queste belle stelle. La vita l’è una valle, l’è scritto nelle palle,” canta afferrandosi l’uccello. “Ma come l’è bello i’ vino! Bianco, bianco e bianco! Rosso l’è i’ mattino, tiro i’ collo a i’ gallo!” Resta un attimo fermo con lo sguardo appannato e cade in ginocchio. “Oh vita, vita, vita! Da ieri l’altro sera, tu mi mangi via le dita,” conclude rimanendo a bocca aperta con le braccia ciondoloni all’indietro come la scultura di un guerriero sul punto di morire.

Pietro e i pescatori applaudono. A Mario sale in gola un rigurgito acido e chiude la bocca per deglutire e cacciare giù il desiderio di vomitare ma in quel momento Pietro gli si lancia addosso e lo abbraccia, lo stringe forte e lo alza di peso mentre Mario non si trattiene e gli sbocca un po’ sulla spalla. I ragazzi se ne accorgono e scoppiano a ridere.

“Questo l’è i mi’ amiho Mario!” lo presenta Pietro commuovendosi. “Lo chiaman Torsolo, ma lui gl’è un animo poetico e co’ lui l’è sempre festa!”

Poco dopo barcollano fuori dal locale sostenendosi a vicenda.

L’oste li guarda allontanarsi verso la piazza mentre cantano ubriachi marci.

“I’ Vampa oggi l’era peggio di quell’attre vorte,” commenta la moglie affacciandosi accanto a lui, sulla porta. “Quande viene con que’ du’ carabinieri l’è più carmo”.

Il marito sospira e annuisce. “E gl’è così,” conclude rassegnandosi alla realtà.

I due hanno preso ancora un paio di amari in un bar facendo una baraonda eccezionale e una mezz’ora dopo Mario si è steso sulla panchina di una piazzetta addormentandosi quasi subito, proiettandosi in incubi pieni di dolori infantili e adolescenziali ancora tremendamente vividi. Si è svegliato con Pietro che lo scuoteva per chiedergli dove fosse la macchina perché non si ricordava dove l’avessero parcheggiata. Si è tirato a sedere con dei movimenti lenti e facendolo ha notato che gli era caduto di tasca il piccolo fallo di legno che gli aveva intagliato Pietro. Lo ha raccattato ripensando alle parole dell’amico: “I’ culo ce l’hanno le donne come gl’omini, e se gli garba alle donne perché ‘un gli deve garba’ all‘omo? Tutte ‘nvenzioni di que’ cagnacci ’nviperiti de’ preti, che Iddio li volasse ni’ Tartaro!” Poi Mario si è alzato in piedi sentendo una specie di cigolio arrivargli dalla schiena ed è rimasto immobile, lungo e spigoloso come una stalagmite, in equilibrio nonostante il vespaio nelle orecchie. “La si trova la macchina,” gli ha assicurato. Non l’hanno trovata, e comunque Pietro avrebbe fatto fatica a guidarla fino a casa. Hanno risolto grazie a un’anima pia che li ha indirizzati alla fermata del bus e ha parlato con l’autista per assicurarsi che li facesse arrivare a San Casciano, poi da lì Pietro ha trovato un altro buon uomo che gli ha dato un passaggio fino a Montefiridolfi e Mario se n’è ciondolato a piedi fino a casa sua in centro.

Il giorno dopo si sono visti di mattina e hanno ripreso insieme il bus per tornare a cercare la 500 bianca. L’hanno ritrovata in via Kennedy, nei campi, non troppo lontano dal ristorante. Allora sono tornati a pranzo alla bettola per festeggiare.

Sono in macchina, un’altra volta ubriachi e nuovamente felici. Le nuvole del giorno prima si sono addensate fino a sembrare una solida superficie d’ardesia conficcata sulla cresta dell’Appennino e hanno iniziato a scaricare la pioggia che scende fitta, fine e leggera. “S’ha a anda’ dalla Sperduta?” propone Pietro.

“Si va a fa’ una bella trombata, maremma impestata!” esclama Pietro afferrando le palle di Mario.

“Molla, bischero!” si difende quello.

“S’ha a chiamare anche i’ Faina?” domanda Pietro riferendosi a un loro amico, un guardone che abita vicino Calenzano e che è un compagno di bisbocce sessuali.

“T’ha’ ragione anche te,” concede Pietro che poi sgancia la capote e la tira indietro con un gesto energico e un rumore di sferraglio.

“O che fai, e piove!”

“Quest’acquetta fa’ attro che bene, ‘un ave’ paura!” lo esorta Pietro. “Ah, senti bene! E poi ci si fa asciugare dalle sperdute!” gli fa notare dandogli un colpo col gomito.

Mario tira indietro la testa e apre la bocca al cielo nel tentativo di riempirsi la gola d’acqua.

Mario ingoia la poca acqua raccolta. “C’era un bel di’ di primavera, una bianca, una mulatta e una nera…”

Pietro inchioda di colpo interrompendo la canzonaccia. Dall’altro lato della strada si avvicinano due adolescenti che camminano sul ciglio con le cartelle sulle spalle e gli ombrelli colorati a ripararle. “Ciao mimme, volete un passaggio?”

Le ragazze guardano quei due zuppi d’acqua che le fissano come di solito gli uomini fissano i polli cuocere sullo spiedo al mercato, poi una trascina l’altra e insieme corrono via, e quando si voltano per assicurarsi che la macchina non le stia seguendo sentono mescolarsi al fruscio della pioggia le risate dei due che si allontanano.

Categorie: estratti, libri · Tag: Alessandro Ceccherini

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